La rubrica Spoiler – in formato podcast è cura della giornalista Beatrice Silenzi – direttore responsabile di Fabbrica della Comunicazione.

Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto. Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, bastava che alzasse un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruniccio, spartito da solchi arcuati; in cima al ventre la coperta, sul punto di scivolare per terra, si reggeva a malapena.
Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante. «Che cosa mi è capitato?» pensò. Non stava sognando.

I suoi scritti – per lo più pubblicati postumi – sono stati determinanti sul pensiero e sull’estetica del Novecento, non a caso l’aggettivo “kafkiano” è entrato nell’uso comune per descrivere atmosfere e situazioni labirintiche e surreali, intrise di senso di colpa e oppressione.

La metamorfosi è un racconto pubblicato nel 1915 dallo scrittore Franz Kafka poco più che trentenne, un’opera che si colloca nel clima culturale europeo appena precedente alla Grande Guerra, in un’epoca di crisi delle certezze liberali e di fermenti artistici d’avanguardia.

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La Metamorfosi segue le vicende di Gregor Samsa, giovane commesso viaggiatore che mantiene i genitori e la sorella, e che da un giorno all’altro, trovatosi mutato in un orrido scarafaggio, deve confrontarsi con la reazione della sua famiglia e con la sua nuova condizione.

Nell’autore risuonano le peculiarità dell’opera, concepita e scritta in un periodo segnato da profondi conflitti interiori, nel rapporto col padre, uomo autoritario e materialista e dalle inquietudini di un a società, quale quella absburgica, pronta a sgretolarsi e molti critici vi hanno letto l’allegoria di un’identità che si disintegra in un contesto ostile e incomprensibile.

Franz Kafka è oggi riconosciuto come un autore precursore dell’assurdo
L’autore stesso, pur vivendo appartato e impegnato in un lavoro impiegatizio, era intellettualmente aggiornato sulle correnti filosofiche e letterarie del suo tempo.

Nelle sue pagine convergono i temi dell’esistenzialismo nascente nella ricerca di senso in un universo che ne è privo, del simbolismo e dell’espressionismo mitteleuropeo, nonché echi della tradizione fiabesca e mitologica, basti pensare che il titolo stesso richiama Ovidio.

Quando La metamorfosi appare per la prima volta nel 1915, su una rivista espressionista, pochi avrebbero potuto immaginare l’enorme impatto che questa breve opera avrebbe avuto sulla letteratura e la cultura del Novecento.
All’epoca tuttavia Kafka non era ancora uno scrittore famoso e la sua voce, appartata e anticonvenzionale, apprezzata in circoli ristretti era inosservata al grande pubblico.

Le tematiche proposte in un romanzo così breve sono molteplici. La prima parla di alienazione, diversità, di incomunicabilità: Gregor Samsa si risveglia in un corpo mostruoso e diverso, e questa diversità lo rende immediatamente estraneo al mondo a cui apparteneva.

L’insetto-Gregor è “disgustoso, inutile, alieno” agli occhi altrui e la comunicazione con i suoi cari diventa impossibile, anche la sua voce umana si è trasformata in un sibilo incomprensibile.

Questa condizione estrema di isolamento descrive in forma concreta il senso di estraneità e incomunicabilità che caratterizza l’uomo moderno.
I paragoni sono molteplici con chi è malato, disabile, reietto e, in epoca recente, lo si può accostare altresì al fenomeno degli hikikomori.

La metamorfosi solleva un interrogativo filosofico: cosa definisce l’identità umana? Egli conserva pensieri e sensibilità umane, ma il suo corpo non è più umano e questo basta perché i suoi simili non lo riconoscano più come persona.
Da figlio e fratello, Gregor diventa creatura ripugnante da nascondere e, nel momento in cui viene meno il suo ruolo sociale, anche la sua identità viene negata.
Tale dinamica evidenzia la fragilità dell’individuo in una società che tende a strumentalizzarlo: chiunque (l’autore stesso o il lettore) potrebbe condividere il destino di Samsa, se privato del suo ruolo.

La perdita della forma umana diventa metafora di una crisi dell’io, dell’annientamento della dignità personale.

La tragica fine di Gregor – che muore di stenti e ferite, ridotto a rifiuto da spazzare via – richiama la logica spietata di un mondo in cui vige una selezione “malthusiana” dei non adatti.
La tagliente satira della modernità e della società capitalistico-borghese del primo Novecento espressa nella schiavitù di un lavoro monotono e alienante (“commesso viaggiatore”) ingranaggio di un sistema economico disumanizzante che alcuni critici hanno letto come allusione al pensiero di Marx sull’alienazione del lavoratore nel capitalismo.

Non mancano elementi distopici
Sebbene il romanzo non descriva regimi totalitari né un futuro fantascientifico, trasmette una visione profondamente pessimistica della realtà umana, mostrandone il potenziale terribile.
Eccolo l’universo kafkiano: quello di un’“irrazionale oppressione” senza sbocchi, un mondo che ha perso ogni armonia.

Alcuni tratti finali del racconto, inoltre, descrivono sinistramente alcune terribili pratiche eugenetiche ed in questo caso il riferimento va alla famiglia di Gregor che considera l’eliminazione del figlio “più un guadagno che una sofferenza”, relegandolo in una stanza simile a una prigione.

Sul piano più filosofico e spirituale, La metamorfosi è spesso letta come un paradigma della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo.
Gregor muore all’alba, sacrificando sé stesso per redimere la famiglia dal peso della sua presenza e viene spazzato via con la scopa dalla serva di casa che ne accerta la morte.
La serva rappresenta la gente semplice, abituata a tutto, che di fronte all’orrore reagisce con pragmatico distacco.

Il fatto che sia lei, una semi-estranea, a eliminare i resti di Gregor mentre i familiari si allontanano dalla stanza, è un tocco ulteriore di amara ironia: Gregor, che aveva dato tutto per la famiglia, finisce spazzato via da una sconosciuta, e i suoi non vogliono nemmeno vedere ciò che ne resta. È la solitudine più completa.

Questa è la grandezza di questa piccola opera che pur negando qualunque messaggio consolatorio, costringe a interrogarci sul senso della nostra condizione: un racconto che dà voce, con lucidità e compassione glaciale, all’indicibile disagio di essere uomini in un mondo privo di risposte.
Un racconto dal sottotesto duro, densamente strutturato, che sotto la superficie lineare cela una fitta rete di richiami culturali e stratificazioni di senso.

Dibattiti e sempre nuove letture sono permanenti tra le tematiche dell’opera in cui la paura di non essere accettati, il senso di colpa, il bisogno d’amore e la crudeltà del rifiuto, l’assurdo del dolore provato da chi è innocente vengono distillati in una forma narrativa essenziale e potentissima, senza mai cadere nel patetico o nell’astratto.

Beatrice